"LA veritÁ GUARISCE." La traduzione integrale dell'intervista di billy porter a "The hollywood reporter"Per la prima volta da quando ha ricevuto la diagnosi di sieropositività, oltre dieci anni fa, la star di ‘Pose' parla dello stigma e della vergogna che lo hanno spinto a nascondere la sua condizione ai compagni di cast, ai suoi collaboratori e persino alla madre. Oggi è il senso di responsabilità che lo fa parlare: "La verità guarisce.” Billy Porter prende un lungo e profondo respiro. “Devo iniziare dal 2007” dice, dopo essersi sistemato dall'altra parte del tavolo. È qui a Little Owl, nel West Village, per togliersi un peso dal petto - qualcosa che è stato avvolto nel segreto così a lungo che riesce a malapena a ricordare la sua vita di prima. "Nel giugno di quell’anno” continua mentre l'artista che è in lui cerca di dissimulare l’emozione "Mi è stato diagnosticato l'hiv". Nei 14 anni successivi, la star di Pose vincitore di un Emmy, non ha detto niente a nessuno, temendo l'emarginazione e le ritorsioni in un settore che con lui non è sempre stato gentile. L’attore 51enne, che negli ultimi anni ha coltivato una nutrita base di fan grazie al suo talento e alla sua genuinità, afferma di aver utilizzato Pray Tell, il suo personaggio sieropositivo nella serie FX, come un suo alter-ego. "Sono stato in grado di dire tutto quello che volevo dire attraverso il mio personaggio” rivela, spiegando come nessuna persona coinvolta nello spettacolo avesse idea di quanto lui stesse attingendo dalla propria biografia. Adesso che la serie, un dramma ambientato sullo sfondo della crisi dell’AIDS vincitore del Peabody Award, si appresta alla conclusione con la terza e ultima stagione, Porter si prepara per quel che verrà. C'è un libro di memorie di cui è prevista l’uscita per la fine dell’anno, e rispetto a cui l’ansia delle deadlines in scadenza lo tormentano; un documentario Netflix sulla sua vita, che lo manterrà in collaborazione proprio con il co-creatore di Pose, Ryan Murphy; una versione 2021 di Cenerentola, in cui Billy interpreterà la fata madrina; un debutto alla regia; un nuovo progetto musicale; e molto altro ancora. L'attore formatosi a Broadway, che è un premio Oscar a cui ormai solo manca un EGOT, non ha interesse ad entrare nella fase successiva della sua vita e della sua carriera portandosi dietro lo stigma che lo insegue da più di un decennio. Quindi, con Murphy al suo fianco e di fronte a uno stormo di telecamere, Porter racconta la sua storia. Questa è la traduzione integrale della sua intervista per The Hollywood Reporter. Essendo sopravvissuto alla cosiddetta “peste”, la mia domanda era sempre: "Perché sono stato risparmiato? Perché sono vivo?" Bene, ora io so di essere qui per poterla raccontare quella storia. C'è un'intera generazione che è stata dove sono io oggi e sento sulle mie spalle una responsabilità. Posso essere chi sono, qui e ora, solo grazie all'eredità che mi hanno lasciato. Quindi per me adesso era ora di agire da adulto e parlare. Appartengo a una generazione che avrebbe dovuto saperne di più di sessualità consapevole, ma è successo comunque. Era il 2007, l'anno peggiore della mia vita. Sono stato sull'orlo del baratro per circa un decennio o giù di lì, ma il 2007 è stato senza dubbio il peggiore. A febbraio mi era stato diagnosticato il diabete di tipo 2. A marzo ho firmato documenti che sancivano la mia bancarotta. E a giugno mi fu consegnata una diagnosi di sieropositività. La vergogna di quell’ultima notizia, unita alle altre vergogne che si erano già accumulate nella mia vita, mi ha zittito, e ho vissuto con vergogna e in silenzio per 14 anni . Essere sieropositivi, da dove vengo io, essendo cresciuto in una chiesa pentecostale e da una famiglia molto religiosa, era ancora la “punizione di Dio” contro gli omosessuali. Nel 2007, tutto è crollato. L’ho scoperto praticamente per caso. Avevo un brufolo sul sedere, che diventava sempre più grande e duro, e che poi ha iniziato a farmi male. Un giorno ho pensato: "Devo sistemare questa faccenda” e sono andato alla clinica Callen-Lorde e alla reception mi chiesero: “Vogliamo fare anche un test dell’hiv già che ci siamo? Costa solo 10 dollari" Ho risposto: "Sì. È ora." Facevo il test ogni sei mesi, così come dovrebbe fare chiunque. Così sono entrato, ho drenato quell’insolito brufolo e fatto il test, poi il dottore è tornato e mi ha guardato. Ho risposto “Cosa?!?” Si è seduto e ho pensato: "No. Nooo." E lui ha detto: "Il tuo test è risultato positivo". SBAM. Per molto tempo, lo dissi solo a chi doveva sapere, eccetto mia madre. Stavo cercando di farmi una vita e una carriera, e non ero sicuro di poterlo fare se le persone sbagliate avessero saputo. Sarebbe stata l’ennesima scusa per discriminarmi in una professione già di per sé molto discriminatoria. Quindi ho cercato di pensarci il meno possibile. Ho provato a negare a me stesso prima che agli altri. Ma la quarantena mi ha insegnato molto. Tutti prima o poi dobbiamo sederci, chiudere sta cazzo di bocca, e ascoltarci davvero. Mio marito e io abbiamo affittato una casa a Long Island, perché avendo un'altra condizione preesistente non potevo correre rischi covid in zone troppo densamente popolate. Dovevo proteggermi, e fortunatamente avevo i mezzi per farlo. Non mi ero mai concesso il lusso di pensare davvero alla cura di me stesso o a cosa vuol dire raggiungere un equilibrio interiore. Pensavo sempre e solo ad andare avanti io. Il covid ha creato paradossalmente uno spazio sicuro per me, uno spazio in cui fermarmi, riflettere e affrontare i diversi traumi della mia vita. Faccio terapia da molto tempo. Ho iniziato l’analisi quando avevo 25 anni e la interrompo e poi riprendo da una vita. Nell'ultimo anno ho iniziato una nuova terapia traumatologica ed è cominciato in me un vero e proprio processo di guarigione. Ho iniziato a staccare i vari strati: quello di quando fui mandato da uno psicologo all'età di soli 5 anni perché i miei modi venivano considerati troppo "effemminati"; quello degli abusi sessuali subiti dal mio patrigno, dai 7 fino ai 12 anni; quello di fare a coming out a 16anni, proprio nel bel mezzo della crisi dell’AIDS. In pratica non c'era mai stato un’epoca della mia vita in cui non avessi subito “traumi”, ma io questa verità l’ho realizzata solo l'anno scorso. Ed ho scoperto anche che è stato quello il mio motore invisibile per molto tempo. I miei traumi mi sono serviti, la mia storia mi è servita come propulsione per andare avanti. E come artista sono grato di aver avuto l'opportunità di lavorare su tutti i miei casini. Quando ho ottenuto la parte in Kinky Boots, la traiettoria principale del mio personaggio, Lola, era quella di perdonare suo padre ad esempio. Ebbi il privilegio di praticare il perdono all’interno di un racconto, otto volte alla settimana per tre anni - otto volte alla settimana permettevo a me stesso di perdonare mio padre sul palco e entrambi i miei padri (e patrigni) sotto terra. Ogni giorno era una piccola liberazione in più. E poi è arrivata Pose. L'opportunità per superare la vergogna dell’hiv e per arrivare dove sono ora. E la genialità di Pray Tell e di questa opportunità unica, è stata proprio quella di permettermi di dire tutto quello che davvero sentivo attraverso il mio alter ego. I miei meccanismi di dissociazione però sono molto, molto forti, quindi mentre lo facevo non avevo idea di essere tanto traumatizzato o di essere stato appena innescato. Sinceramente ero solo felice che qualcuno finalmente mi stesse prendendo sul serio come attore. Sono sopravvissuto per poter raccontare questa storia, La Storia. È per questo che sono qui. Io prima ero un’isola, ed emotivamente è stato sufficiente, fino al giorno in cui non è stato più così. Fino a quando mi sono sposato nel 2017. Ora sto cercando di avere una famiglia, e non sono più soltanto io. È tempo di evolvere e andare avanti perché la vergogna è distruttiva e, se non affrontata, sul suo cammino può corrompere ogni cosa. E la mia di vergogna era, come spesso accade, collegata alla mia relazione con mia madre e alla mia ex-relazione con la Chiesa. Mia madre aveva già passato così tante cose, così tante persecuzioni da parte della sua comunità religiosa a causa della mia omosessualità, che non volevo che lei dovesse vivere con i loro "Te l'avevo detto che lui finiva così". Non volevo farle passare quello. Ero imbarazzato. Mi vergognavo. Ero la statistica che tutti promettevano sarei stato. Quindi semplicemente avevo giurato a me stesso che l'avrei lasciata morire prima di dirglielo. Questo è quello che stavo aspettando, se devo essere completamente onesto. Quando l'abbiamo trasferita alla Actors Fund Nursing Home, ho pensato: “Mamma non resterà tra noi a lungo, quando non ci sarà più poi lo scriverò il mio libro, farò coming out sierologico ma lei non dovrà convivere con l'imbarazzo di avere un figlio sieropositivo." Questo succedeva cinque anni fa. E mamma è ancora lì, è ancora con noi, e non sta andando proprio da nessuna parte. Per questo con mia sorella recentemente avevamo elaborato un piano. Stavamo per farci vaccinare e per andare a trovare mamma. Avremmo preso una stanza e io, finalmente, gli avrei dato la notizia. Poi invece, l’ultimo giorno delle riprese di Pose, stavo scrivendo appena sveglio il mio diario della gratitudine, e mi è venuta in mente mia madre. Ho pensato: “Fammela chiamare.” Dopo due minuti dall'inizio della conversazione, lei è era già "Cosa c’hai che non va?”. Ma io non dicevo nulla. Lei ha insistito: "Billy, per favore, dimmi cosa c'è che non va". Così ho strappato via il cerotto e gliel'ho detto. Mi ha risposto: “E ti porti dietro tutto questo da 14 anni? Non farlo mai più. Io sono tua madre, e ti amerò sempre, qualunque cosa accada. E so di non aver capito come farlo all'inizio, ma sono passati decenni Billy". Ed è tutto vero. È la mia stessa vergogna. Anni di traumi sanno rendere un essere umano molto insicuro. Ma è la verità che rende liberi. E io sento che il mio cuore ora si sta liberando. Per anni - anni e anni - era come se una mano mi stringesse costantemente il cuore, e adesso quella mano ha lasciato la presa improvvisamente, se ne è andata. E non sarebbe potuto accadere in un momento migliore. Ogni singolo sogno abbia mai avuto si sta avverando in questo preciso momento, tutti allo stesso tempo. Mi sto preparando per interpretare la fata madrina di Cenerentola. Ho della nuova musica in uscita. Ho un libro di memorie in uscita. È uscita la stagione finale di Pose. Dirigerò il mio primo film. E sto solo cercando di essere presente a me stesso. Sto cercando di essere gioioso e uno degli effetti del trauma irrisolto è proprio quello di non essere in grado di provare gioia. Ryan nella prima stagione mi ha letto dentro. Venni convocato da Freds in Wilshire Boulevard, si sedette e mi disse: "Avrò bisogno che tu ti aggrappi di più alla gioia". Wow. Di solito nessuno può notarlo! Sono molto abile a nascondere quel lato della mia lotta interiore eppure Ryan se ne accorse subito. Poi avemmo questa meravigliosa conversazione sui lavori che avevo fatto nella vita e su come questo fosse il mio momento - il momento per me di sedere finalmente sul trono del protagonista. E avevo avuto così tanti "quasi" prima di Pose. Ricordo di aver visto “Angels in America” per la prima volta nel 1994 e aver pensato: "C'è un uomo queer nero che non è solo un personaggio secondario - è il cuore della fottuta storia! Questo è l'essere umano che sono. Questo è l'artista che sono! Come ci arrivo?" Nel frattempo stavo in seconda fila a fare Grease con 40cm di parrucchino di gomma arancione in testa, saltellando come un Little Richard pupazzo sotto crack. E non era certo quello che volevo. Non è per questo che sono venuto qui oggi pensavo. E adesso che Ryan aveva bisogno che mi appoggiassi alla gioia, io non potevo. Non sapevo come. La felicità c'è, sì; c'è la gioia in superficie, ma c'era anche sempre una sensazione di paura, tutto il giorno, ogni giorno. Non era la paura che il mio status sarebbe saltato fuori o che qualcuno mi avrebbe "smascherato"; era proprio, in primo luogo, la vergogna che fosse successo. E come persona nera, anzi in particolare come uomo nero, su questo pianeta devi essere sempre perfetto o qualcuno ti ucciderà. Eppure guardami ora. Sì, sono la statistica, ma l'ho trascesa. Ecco che aspetto ha l’hiv oggi. Morirò, ma per qualcos'altro non per quello. I miei livelli di linfociti T sono il doppio dei tuoi a causa dei farmaci che assumo sai? Vado dal dottore adesso - come uomo nero, di 51 anni, vado da un dottore ogni tre o massimo sei mesi. E questo non accade nella mia comunità. Ma io dal dottore ci vado, e ora so sempre cosa sta succedendo nel mio corpo. Sono più sano di quanto lo sia stato in tutta la mia vita. Quindi è davvero il momento di voltare pagina e raccontare una storia diversa. Basta stigma - finiamola! È tempo. L'ho vissuto e me ne sono vergognato abbastanza. E sono sicuro pure che mi seguirà ancora. Sono certo che la prima cosa che molti diranno sarà: “ah vedi è sieropositivo, omosessuale, blah, blah, blah". OK. E allora? Non è l'unica cosa che sono. Sono molto di più di quella diagnosi. E se non vuoi lavorare con me a causa del mio status, allora sei tu a non essere degno di me. Così più o meno dissi a mia madre quella mattina, e poi sono venni a lavorare in questa brillante opera d’arte che è Pose, che alla fine è stata il catalizzatore per liberarmi dalla vergogna, e ho pensato: "Abbiamo affrontato tutto questo insieme e queste persone meritano di sapere, proprio come mia madre meritava di sapere." Una delle realizzazioni più profonde che ho avuto da uomo di 51 anni che finalmente sta ottenendo il suo riconoscimento, o vive il suo momento-chiamalo-come-ti-pare, è che ho avuto un sacco di tempo per sedermi e osservare tutte quelle stelle che mi hanno preceduto e si sono spente troppo presto. Ho avuto molto tempo per indagare sul perché proprio; e la risposta che ho trovato mi ha sempre riportato al valore dell’autenticità. Quindi mi sono alzato, davanti a tutto il cast, alla troupe e a tutte le persone che hanno contribuito a creare questo spazio unico e speciale, e ho detto loro la verità perché, a un certo punto, la verità è una responsabilità. La verità è guarigione. E spero che questo mi liberi. Spero che questo mi liberi al punto da poter riprovare quella gioia vera e genuina, in modo da poter sperimentare la pace, in modo da poter sperimentare l'intimità, in modo da poter fare sesso senza più alcuna vergogna. Questo coming out è prima di tutto per me. Lo sto facendo per me. Ho troppe cose da fare e non ne ho più paura. L'ho detto a mia madre: era quello l’ostacolo più grande per me. Quello che ha da dire chiunque altro non mi interessa. E se stai con me, bene. Altrimenti, togliti di mezzo. Intervista di Lacey Rose per The Hollywood Reporter tradotta in italiano dai Conigli Bianchi
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Conigli bianchiFuori dalla tana, cercando di capire cos'è un blog. archivio
November 2022
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