40 anni fa, il 3 luglio del 1981, il New York Times pubblicava un articolo dal titolo “Scoperto raro cancro in 41 omosessuali“. Quel ‘raro cancro’, a cui poi ci si riferì come il ‘cancro gay’, era l’AIDS, e quella era solo la prima pagina di una storia la cui fine non è ancora stata scritta. SinnombreTeatro l’11 e il 12 giugno porta in scena al Centro Culturale Artemia, un lavoro che ricorda e celebra i primi, e si spera gli ultimi, 40 anni dell’HIV: “Un gioco Virale”. Lo spettacolo scritto e diretto da Danilo Caiano, interpretato da Gisella Cesari e lo stesso Danilo Caiano, è prodotto da Angela Infante, in co-produzione con il Centro Culturale Artemia e con il sostegno del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli. È anche l'evento di apertura del Roma Pride che, durante tutto il mese di giugno, celebrerà il #PrideMonth2021. Abbiamo sedotto (o almeno c'abbiamo provato) e intervistato il regista, autore e co-protagonista per fargli fare qualche domanda dal nostro Brucaliffo fieropositivo. Grazie di essere venuto nel mio giardino Danilo. Come nasce l’idea di questo spettacolo, “Un gioco virale”? Sicuramente nasce grazie all'incontro con una donna meravigliosa che adoro da anni, Angela Infante, che mi ha sfidato chiedendomi di immaginare uno spettacolo a tematica HIV che usasse toni leggeri e non drammatici. L’ambizione era quella di costruire una narrazione che non rimandasse agli anni '80, come avviene puntualmente al cinema o in tv, o in serie recenti e prodotti validissimi come “Pose” e “It’s a sin”, ma che riguardasse e arrivasse ai giorni nostri. L’immaginario collettivo è ancora molto condizionato dalla narrazione mainstream che ha raccontato la sieropositività sempre e solo in un modo. Film come "Philadelphia" o "Le Fate Ignoranti" hanno avuto una grande importanza ed erano (quasi) al passo coi tempi, ma oggi manca totalmente il racconto di come vive una persona sieropositiva nel 2021 . Per chiarezza, la pesantezza allucinante di molte opere di fiction è più che giustificata dalla strage avvenuta. Parliamo di 33 milioni di morti. Però è anche vero che oggi la realtà, nei fortunati paesi dove l’accesso ai farmaci è garantito, è molto cambiata. E questo permetterebbe eccome di costruire nuovi immaginari, di contrastare quello che negli anni è rimasto un vero e proprio tabù. Così con Sinnombre Teatro abbiamo raccolto la sfida di Angela, e provato a creare un momento di intrattenimento, accogliente anche verso chi non frequenta troppo il tema. Mmmh. Ambiziosi! E a chi si rivolge quindi “Un Gioco Virale”? Lo spettacolo è rivolto a tuttә, però lo consiglierei soprattutto ai giovani, ragazzi e ragazze di 16/18 anni che vogliono approcciarsi all’argomento, perché è leggero ma è anche ricco di informazioni. Durante lo spettacolo infatti vengono evocati molti termini affatto scontati, come viremia soppressa, PrEP o UequalsU, e per non lasciare dubbi al termine di ogni replica abbiamo anche pensato di aprire, grazie al sostegno di un esperto, un piccolo spazio di dibattito. Ci piacerebbe approfondire ciò che nominiamo nello spettacolo e lasciare spazio a domande. L'obiettivo finale resta quello di creare un momento di svago di mezz'ora, ma anche di far sapere come si vive oggi con HIV e cosa è successo in questi 40 anni. È rivolto a chiunque avverta un sano desiderio di saperne di più. Ok, quindi praticamente è rivolto a tuttu! Esatto. Con queste premesse che idea avete avuto? Puoi anticipare qualche dettaglio sulla storia? Certo. Ci siamo scervellati un po' perché non è automatico riuscire a parlare di HIV in modo divertente. Ma a un certo punto è nata l’idea di paragonare la pandemia a una partita a scacchi lunga 40 anni. Abbiamo immaginato due protagonisti, Alfa e Beta, un ragazzo e una ragazza, che intraprendono questa partita evocando termini, come contagio o cura, che con gli scacchi hanno poco a che vedere. Non anticipo nulla sul finale, ma di base da un lato c’è un Alfa che per vincere la partita cerca di diffondere il virus il più possibile e dall’altro una Beta che cerca come può di fermarlo. L’andamento della partita ripercorre un pò le tappe della storia dell’AIDS, quindi inizialmente, alla scoperta di un retrovirus con la mortalità del 100%, la partita sembra totalmente in mano ad Alfa. Ci sono mosse come la fantomatica terapia AZT che sembrano in parte funzionare per Beta, che entra però davvero in partita solo con l’arrivo della terapia ART. La partita è lunga, e dal 1981 si arriva ai giorni nostri parlando anche di prevenzione e U=U, ma sempre nella maniera più comica possibile. In scena sarete solə o avete costruito anche una scenografia ad hoc? Abbiamo pochi elementi scenici ma molto presenti. I due attori governano la scena ma dovranno anche manipolare giganteschi scacchi da giardino, c'è una contrattazione perenne rispetto al preservativo raccontata con simbolici palloncini, si rappresenta la questione fintamente ossimorica tra protezione e piacere, compaiono fili rossi contagio, insomma succedono cose. Chi interpreterà “Un Gioco Virale”? Io, Danilo Caiano, e Gisella Cesari, l’attrice con cui ho fondato la compagnia teatrale Sinnombre Teatro. Solitamente è Gisella l’attrice principale dei nostri spettacoli, perché è bravissima e poliedrica, e perché di solito non recito negli spettacoli che scrivo e di cui faccio regia. Per questo spettacolo però ci tenevo particolarmente ad esserci, la stessa Angela ci teneva fossi anche io in scena, perché per un progetto del genere metterci la faccia è importante. Cosa intendi per metterci la faccia? Parlo dell’importanza che una storia del genere venga raccontata da una persona apertamente sieropositiva, come lo sono io. Mi piace pensare che anche un momento breve e leggero abbia il potere di scardinare un pò quello stigma che ancora colpisce le persone che vivono con HIV e stimolare riflessioni. Credo sia importante anche semplicemente essere in scena perché, in un mondo che anche ancora immagina le persone sieropositive come emaciate figure in attesa di morire in un letto d'ospedale, il mio corpo, sul palco, davanti a te, ti racconta altro. E poi volevo esserci pure per una questione sentimentale, fare uno spettacolo su questo tema lo riconosco come un infinito privilegio e credo che se lo avessi visto ai tempi del liceo mi avrebbe cambiato la vita, o di certo lo sguardo su molte cose. Per quanto mi considerassi uno che si informava tanto, a molte informazioni fino a poco fa non avevo mai avuto accesso. Ci tengo a recitare perché, nonostante la fatica di tornare in scena dopo quattro anni che non lo faccio, in questo progetto credo molto e il fatto che stia davvero accadendo e sia l'evento di apertura del Roma Pride di quest'anno mi rende molto felice. È un entusiasmo comprensibile e condivisibile. Per quanto ogni giorno si facciano piccoli passi in avanti, reclamare la propria visibilità e investire energie in un progetto del genere non è scontato. Grazie anzi, a nome di tutta la comunità fieropositiva di Brucaliffi, Alici e Stregattə sierocoinvoltə! A proposito di sfruttare potenziali narrativi inespressi, con Angela Infante state lavorando anche ad un altro spettacolo. In che cosa è diverso? Sì, è vero, non solo creare “Un Gioco Virale” è stato possibile grazie ad Angela, ma anche “Frammenti Queer”, il primo spettacolo sul quale stiamo lavorando assieme e che ha deciso di produrre prima di questo. Di “Frammenti Queer” è stata presentata un’anteprima due settimane fa, al Centro Culturale Artemia, e siamo al lavoro sullo spettacolo integrale. Nasce dall’idea di voler trasportare a teatro l’arte del collage, nella quale la stessa Angela si cimenta come artista da anni. Cosa c’è di potente di quel mondo da portare in scena - ci siamo chiesti. E così è nata una storia, anzi due, diversissime e in corsa su binari che non si incontrano mai, se non in pochissimi attimi rivelatori. Il nome stesso anticipa come di queste storie si conosceranno solo frammenti, stralci che utilizzano registri linguistici e stili diversi, che alternano momenti drammatici a vera e propria stand up comedy, e che vivranno sul palco grazie ad una struttura di legno che stiamo costruendo in questi giorni, e che ci permetterà di mettere in evidenza una sola parte del corpo dell’attore per volta. Quando Angela ci ha parlato del collage infatti una delle prime cose che ci è venuta in mente è stato il concetto di dissociazione: attraverso una cabina su ruote e un sistema di pannelli che slittano e scompaiono all’evenienza, in modo da mettere in evidenza di volta in volta solo il busto, o solo un braccio, o solo il volto o le gambe, proveremo a raccontarla anche in scena. Non voglio dire troppo ma diciamo che i protagonist*, Alice e Giulio, si rapportano entrambi a veri e propri processi di dissociazione, non riuscendo a riconoscersi in sé stessi, nei loro corpi, nelle loro stesse storie, che per quanto lontane tra loro si sovrappongono poi in momenti di dolore e violenza. Ci stiamo lavorando ancora un po' sopra e cercando il teatro adatto in cui debuttare con lo spettacolo integrale. In bocca al grifone “Frammenti Queer”! Tornando a “Un Gioco Virale”, un format spettacolo di mezz’ora seguito da uno spazio di dibattito, sembra avere in sé il seme intelligente della replicabilità anche, ad esempio, all’interno del circuito scolastico. È nei piani portarlo nelle scuole, ci penserete? La drammatica assenza dell’educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole ci ha fatto valutare un percorso del genere. In fondo lo spettacolo è pensato per essere accessibile anche a ragazzi e ragazze delle superiori. Lo abbiamo, in effetti, già presentato a diverse scuole, le quali ovviamente ci hanno restituito un problema dal punto di vista della sicurezza Covid che ha rimandato a dopo l’estate ogni valutazione di fattibilità. Però a dirtela tutta Brucaliffo, alcune scuole una risposta definitiva ce l’hanno già data, e apertamente ci hanno detto “di HIV non si può parlare nella nostra scuola”. Ce l’hanno detto proprio così, fuori dai denti. Quindi sì, l’idea c’è, il format era così anche per quello, però sappiamo che in Italia sarà tosta. Ci sono tanti ostacoli culturali e burocratici. Ma troveremo il modo. Speriamo! Un’ultima domanda Danilo: che significato ha per te la visibilità? Perché è ancora così difficile oggi fare coming out sierologico e che ruolo pensi abbia la visibilità nella lotta allo stigma? Secondo me è importantissima. Credo che più si è visibili e più i messaggi che veicoliamo acquistino forza. Lo si vede anche in tante altre situazioni, rispetto ad altre soggettività spesso invisibilizzate: avere l’ultima parola rispetto alla narrazione sulla propria vita amplifica immensamente la propria credibilità, l'autorevolezza, la capacità di comunicare e stimolare empatia e ascolto. L’alternativa d’altronde sarebbe essere raccontati da altri. Certo la visibilità, per quanto sia uno strumento importante, è anche un’arma a doppio taglio. Non la si conquista gratis. Io personalmente la vivo come una responsabilità. Se una persona se la sente, sente che se lo può permettere, il che ovviamente rimanda a valutazioni personali e diverse per ognuno di noi, penso sia giusto fare la propria parte. Per sé stessi e pure per chi magari non ha la stessa serenità o occasione. Forse smuovendo un piccolo tassello da soli il quadro generale non cambia nell’immediato, ma penso che sia giusto partire da qua. Anche un piccolo singolo sasso può essere raccolto da tante persone. E poi, soprattutto nel nostro lavoro, che è il lavoro teatrale, la generosità è tutto. Io devo essere generoso, devo esserlo emotivamente, artisticamente, altrimenti non ha senso fare questo lavoro. UN GIOCO VIRALE (40 anni di HIV) Venerdì 11 e Sabato 12 giugno Tre fasce orarie: ore 19:00 - 19:45 - 20:30 PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA telefonando o scrivendo un SMS o WSP al numero: 3341598407 Ingresso: € 8 Tessera 2021 nuovi soci: € 2 CENTRO CULTURALE ARTEMIA Via Amilcare Cucchini, 38 Roma (zona Monteverde – Portuense/Forlanini) Intervista a cura del Brucaliffo
Sinnombre Teatro FB: @Sinnombreteatro.ita IG: @Sin.nombreteatro https://www.twitch.tv/sinnombreteatro
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Conigli bianchiFuori dalla tana, cercando di capire cos'è un blog. archivio
November 2022
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